A Oberstdorf prima rivincita della "magra" di Fiemme
2003
L'exploit di Pietro Piller Cottrer e Fulvio Valbusa, oltre che della
squadra nel suo complesso, ha confermato la validità di certe innovazioni di Albarello e
della programmazione di Sepp Chenetti. Non ci poteva essere miglior avvio dei Mondiali: e
mancano tante altre gare da medaglia .....
Dopo tante medaglie di legno fra Olimpiadi e Mondiali, per Pietro
Piller Cottrer è finalmente arrivato loro nella gara di apertura dei Mondiali di
Oberstdorf. Diciotto anni dopo Albarello, sulla stessa distanza, e De Zolt, nella 50 km.
La gara che Pietro poteva far sua già nel 2001 a Lahti se non fosse stato stroncato da un
freddo siberiano e da un Muehlegg stratosferico dopo aver comandato la gara per oltre 4/5
della sua lunghezza. E la stessa cosa gli era capitata due anni fa in Val di Fiemme dove,
trascinato dallentusiasmo e dalla voglia di strafare, è andato allo sbaraglio nel
double pursuit e nella 50 km, rimediando piazzamenti mediocri invece che la medaglia che
tutti gli si accreditava. Pagò, in quelloccasione, oltre che il peso della
responsabilità di fare risultato, anche latmosfera nella quale la squadra azzurra
aveva vissuto quel Mondiale. Decimata dallinfluenza, subissata di critiche da parte
di chi dubitava si trattasse di un malanno diplomatico con cui giustificare
linedita preparazione introdotta dallallenatore Chenetti. Preparazione che,
senza linfluenza, sarebbe risultata valida già allora, come dimostra la
controprova odierna.
Esaltante e commovente la corsa di Pietro, che ha messo in atto quanto
confidenzialmente mi aveva già anticipato nel raduno di Livigno, affrontato con la solita
professionalità. Undici giorni in quota per recuperare quelli perduti in precedenza al
passo Lavazè, che gli sono serviti per avvicinarsi al Mondiale con le gambe cariche al
punto giusto e le idee chiare in testa. Con la consapevolezza di valere il successo, lui
naturalmente e organicamente granfondista, sulla distanza nella quale già si era
imposto in Coppa del Mondo.
Il miglior regalo per il figlio Fabio, al quale due anni fa laveva promesso a Lago
di Tesero e per quello la cui nascita è prevista per il 9 maggio. Maschio o femmina non
si sa ancora: di certo è benatteso. Fabio, che ormai ha due anni, la gara del papà non
lha potuta seguire, poiché si è addormentato fra le braccia di mamma Francesca
che, tutta sola in casa, lha seguita per TV spandendo lacrime di commozione e
felicità dopo la felice conclusione. Un sogno che si avvera. Il babbo lo ha visto solo
quando era già sul podio, in attesa della premiazione. Lo aspetta di ritorno con un
regalo: vuole uno snowboard. Lidea gli è venuta ieri andando a spasso per Sappada
con il nonno paterno, quando ha visto alcuno ragazzotti destreggiarsi con la tavola su una
pista. Se mai abbia pensato di mettere gli sci stretti, ha momentaneamente accantonato
l'intenzione. Probabilmente gliela rilancerà la medaglia doro con la quale vorrà
sicuramente giocare, che potrebbe avere un seguito nei prossimi giorni.
Si è capito subito che Pietro era in una di quelle giornate in cui tutto gli viene
facile. La pista dura ma dove si può scivolare con lunghe pattinate anche sul ripido, la
fluidità del gesto tecnico, la leggerezza nellincedere, il ritmo cadenzato dei
momenti migliori. Lo stereotipo della perfezione applicata allo sci di fondo a skating.
Tanto è vero che, dopo il 4° tempo al km 1,800, non ce nè stato più per nessuno.
Sempre in testa, aumentando di poco ma con progressione inarrestabile di chilometro in
chilometro, il vantaggio sugli avversari. Sul biathleta Bioerndalen, che voleva essere la
sorpresa di giornata, su Vittoz che cercava di rifarsi la faccia dopo le gratuite accuse
di doping, sullo squadrone tedesco che era atteso a far sfracelli ma ha dovuto soccombere
di fronte alla marcia inarrestabile di questangelo che sembrava volare sulla pista.
E con lui, ma con movenze del tutto diverse, rabbiose e devastanti, avanzava
Fulvio Valbusa. Finora la sua stagione era stata inferiore alle attese; gli è sempre
mancato il colpo dala. Invece che a Livigno come tutta la squadra, si è rintanato
nella sua Bosco con la famiglia e lamico e allenatore fidato Vito
Scandola, con il quale ha costruito tutti i suoi successi. Lo stratega della sua
programmazione, che lo ha riportato di forza in nazionale quando tre anni fa ne era stato
messo ai margini, e lo ha fatto ritornare il primo degli azzurri nella classifica di Coppa
del Mondo. Lui di suo ci ha messo volontà e carattere, qualità che purtroppo mancano a
tanti altri talenti, sulle quali Bubu ha costruito carriera e successi di cui nessuno le
accrediterebbe guardandone la struttura fisica che può però contare sui fibre nervose
che sono patrimonio innato di pochi fuoriclasse. E lui campione ha imparato ad esserlo e
come tale si è sempre comportato, anche nei periodi più bui, risorgendo dalle ceneri
come laraba fenice. Un argento più che meritato; a bloccargli il gradino superiore
del podio cè voluto il Piller Cottrer delle grandi occasioni. Una coppia
formidabile, che si riproporrà nelle prossime gare.
E mancato luomo più atteso, Giorgio Di Centa. Da tre mesi è il migliore
degli azzurri. Lui, alternista naturale, ha dimostrato di essere il primo anche nello
skating. Se avesse fatto una sprint, avrebbe vinto anche quella dopo i titoli italiani
assoluti della 30, della 50 km e del double pursuit. Non è detto che non ci tenti in
aprile, nellultima fase dei tricolori. Anche i bookmakers lo davano fra i favoriti.
Invece, trovandosi probabilmente nella giornata in cui del mezzo bicchiere pieno lui vede
solamente la parte mezzo vuota, ha retto il ruolo di protagonista per 10 dei 15 km .
E venuto a mancare nel finale, là dove solitamente è autore di prodigiosi
recuperi. Una giornata sbagliata: capita anche ai migliori. Avrà immediatamente occasione
di riscatto: nelle condizioni in cui si trova, la medaglia individuale non gli può
sfuggire: double pursuit o 50 km sono alla sua portata. Non cè nessun altro che la
meriti quanto lui. Nella staffetta, se le cose andranno per il giusto verso, il podio non
dovrebbe sfuggire. Solo il gradino è aleatorio, dipendendo da una serie di fattori che
non sempre si possono far coincidere come si vorrebbe. Tutto è possibile alla vecchia
guardia che, oltre a questo terzetto, annovera Cristian Zorzi tornato ad essere lo
Zorro olimpico e non per loro con cui ha colorato i capelli. Si è
battuto bene in questa 15 km, ma poteva far meglio del 17° posto, che comunque gli è
servito per rompere il ghiaccio.
Non possiamo, in questa giornata indimenticabile, sottacere i meriti dei tecnici e dello
stesso CT Albarello, finora bistrattato anche al di là di colpe non sempre e solo sue.
Anche da me quando è stato il caso. Ha pagato linesperienza e qualche ambiguità
caratteriali, ma ci ha messo del proprio, rischiando. La faccia, prima di tutto, in un
ambiente in cui di solito ci si mimetizza o ci si defila di fronte alle responsabilità. E
poi buona volontà, carattere e, quel che più conta, idee innovative e la scelta di
uomini alla guida della nazionale, come Sepp Chenetti e Franz Semenzato, che ora gli
stanno dando ragione con i fatti. Come gli stanno dando atto le prestazioni e le
invenzioni di cui sono capaci gli skimen spesso sotto accusa quando le cose
non vanno come si vorrebbe.
Due anni fa questi tecnici, con la loro preparazione che ha ribaltato i canoni
tradizionale, avevano fallito i Mondiali in Val di Fiemme. Ma a causa dellinfluenza
che aveva falcidiato maschi e donne, non perché la preparazione fosse sbagliata. E che
fossero nel giusto lo avrebbero confermato le successive gare di Coppa del Mondo e i tanti
podi conquistati nellultima stagione. Mai così tanti in tutta la storia del fondo
italiano. E a questi podi va aggiunta la Coppa del Mondo femminile che Gabriella Paruzzi
si è aggiudicata alla grande, seconda italiana dopo Manuela Di Centa. Merito indubbio
dellolimpionica della 30 km, ma anche del suo allenatore Gianfranco Pizio, uno che
è abituato a operare nell'ombra, non cerca ribalte ma si è rivelato indispensabile. Una
struttura, quella tecnica, sottovalutata e sottopagata; meglio, pagata con ritardi che
farebbero venir voglia di smettere tutto. Invece si va avanti ugualmente, magari
mugugnando ma con passione e spirito di sacrificio. Verrebbe voglia di parlare di
spirito di servizio se questo non fosse un termine del quale purtroppo si
abusa in campi che con lo sport hanno poco a che vedere.
Giorgio Brusadelli
www.fondoitalia.it
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