Federico De Florian
di Giorgio Brusadelli
Con 16 vittorie nei campionati assoluti, 14 individuali e 2 di staffetta, Federico De Florian, classe 1921, si può considerare, senza possibilità di smentita, uno dei più grandi fondisti italiani di tutti i tempi. Un fondista completo: 6 titoli nella distanza più breve (18 km prima, 15 poi) negli anni 1949/1952/1953/1955/1956/1959, due nella 30 km (1955/1959), e 6 nella 50 km (il primo nel 53, su distanza ridotta a 30 km, quattro consecutivi dal 1954 al 1957, e il sesto nel 1959, ormai a chiusura di carriera). Inoltre, fatto ancor più significativo, due titoli di staffetta 3x5 km. Erano gli anni 1958 e 1959, e Federico si avviava alla quarantina. Con lui si schierarono il giovanissimo Giulietto De Florian, compaesano omonimo ma non parente, e l'altoatesino Giuseppe Steiner.
Significativo perché il campionato veniva vinto da una squadra civile, l'Unione Sportiva Cauriol fondata da Nele e Romano Zorzi e da Giuseppe Trotter dopo la scomparsa dello Sci Club Ziano. Una società che, dopo la guerra, aveva riportato lo sport in paese. Calcio, ciclismo, corsa in montagna ma, prima di tutto, fondo. E all'U.S. Cauriol approdò Federico dopo aver ripreso l'attività agonistica con la società "Neve e ghiaccio" di Trento, contribuendo ad interrompere per due anni l'egemonia dei gruppi sportivi militari, Fiamme Oro e Fiamme Gialle, iniziata nel 1953 e destinata a continuare ininterrottamente dopo il 1960, spartita più o meno equamente fra i due gruppi sportivi già citati, i Carabinieri, La Forestale e l'Esercito.
Lui in un gruppo sportivo militare non ha potuto entrare quando gli sarebbe piaciuto per fare sport ad alto livello e contemporaneamente beneficiare dello stipendio, perché le Fiamme Gialle non l'hanno voluto nel 1939 e per sua scelta nel dopoguerra, per il semplice fatto che non se la sentiva più di indossare una divisa dopo 5 anni passati alla Scuola Militare di Aosta con il Nucleo Sci Veloci al quale era approdato dopo aver vinto le selezioni della Compagnia Alpieri. Per la "naja" era partito il 4 gennaio 1940 e con la Finanza c'era rimasto male non tanto per il mancato arruolamento che l'avrebbe coinvolto nella guerra, giustificato con l'impossibilità di avere il nullaosta dalle autorità militari, quanto per il giudizio che il colonnello comandante di allora aveva espresso nei suoi confronti: "Prima che quello diventi un campione io diventerò generale". Mancanza di fiducia in un atleta che pure aveva già vinto tutto il possibile nelle gare di regime, il che la dice lunga sulle capacità professionali e la "miopia" di certi ufficiali messi a dirigere strutture per le quali le conoscenze specifiche dovrebbero costituire elemento prioritario nella nomina.
Le sue soddisfazioni comunque se le è prese ugualmente con l'U.S. Cauriol, che però non aveva sufficiente peso politico in Federazione per assicurargli la partecipazione alle Olimpiadi di St. Moritz, nel 1948, alla quale la FISI preferì schierare la "vecchia guardia" della Valfurva (i tre fratelli Compagnoni e Confortola), l'aostano Perruchon, l'asiaghese Rizzieri Rodeghiero, Arcangelo Chiocchetti e Stefano Sommariva, trentini come lui ma di Moena. In fin dei conti, si sosteneva, De Florian fino a quel momento aveva vinto solo il campionato italiano dell'Enal.
Un altro rifiuto che avrebbe fatto scattare la molla della rivincita quando, divenuto presidente della Fisi Pio Antonio Caliari, Federico fu finalmente inserito nella nazionale. Ma solo dopo due vittorie in altrettante gare internazionali e dopo aver battuto ai campionati assoluti tutti gli azzurri che avevano partecipato alle Olimpiadi. Nessun favoritismo, ma per merito. E questo per lui significava, al di là delle 800 lire di mancato guadagno per ogni giorno di impegno in allenamenti o gare con la squadra, la possibilità di un diverso ritmo di vita, allenamenti più mirati e finalizzati agli impegni internazionali, corsa, l'uso dei primi rudimentali skiroll, ginnastica, potenziamento con gli elastici delle braccia già allenate dal duro lavoro nei boschi. Non ultima, un'alimentazione più adeguata. Al caffelatte del mattino si accompagnavano burro e marmellata, e sulla tavola compariva regolarmente anche la bistecca. Non c'era da far soldi, ma si sbarcava meglio il lunario. Lo avrebbero chiamato "angelo delle nevi" per il suo stile invidiabile e una tecnica degna degli scandinavi. Oppure "Federico il grande" per le tante vittorie, non certamente per la statura. Più piccolo della media dei fondisti, ma dal fisico possente, armonioso.
Era il 1949 e, ancora a St. Moritz, era in programma la 18 km del "Nastro Bianco". Qui Federico si prese la sua prima soddisfazione lasciando tutti gli azzurri a 5 minuti, successo che avrebbe rinnovato di lì a pochi giorni in una 10 km a Zell am See, in Austria, disputata in mezzo alla tormenta e a una bufera di neve. La sete di rivincita era la sua droga, a cominciare dal campionato italiano dei 18 km svoltosi il 19 febbraio a Cortina. Da quel momento i titoli assoluti si sarebbero succeduti con regolarità quasi cronometrica e della nazionale Federico De Florian sarebbe diventato una colonna portante, unico borghese fra tutti militari. Partecipò a 3 Olimpiadi (Oslo '52, Cortina '56, Squaw Valley '58), nelle quali il miglior piazzamento, 13°, fu nella 30 km di Cortina vinta dal norvegese Brenden, e a 3 Mondiali (Falun '54 - 34° nella 15 km e 20° nella 30 km, 5° con la staffetta - e Lahti '58 - 35° nella 15 km, 34° nella 30, 19° nella 50 e 5° in staffetta). Quanto di meglio si potesse fare allora contro nordici e sovietici.
Tanti, tanti successi, i cui ricordi sono testimoniati da coppe, targhe e medaglie in bella mostra nel soggiorno della sua casa di Ziano. Di medaglie manca quella della Kurikkala del 1953 a Les Rousses, in Francia, dove aveva battuto, oltre che i continentali, anche i finlandesi. Sparì dopo la premiazione, mentre se la passavano dall'uno al'altro, e non gli fu più restituita. Uscì di scena proprio quando, sotto la mano di Nilsson, cominciava a profilarsi la grande squadra di Giulio De Florian, De Dorigo, Nones, Stella e Manfroi, e gli sarebbe piaciuto restare nell'ambiente. Gli era stato promesso un posto da allenatore e la sua esperienza di 15 anni di gare sarebbe potuta risultare utile a ragazzi ancora in crescita, ma gli fu offerto semplicemente l'incarico di "ispettore" dei centri giovanili della FISI.
Un contentino. Non uno stipendio, ma un tanto per ogni giorno di ispezione. Una umiliazione per chi tanto aveva dato allo sci e alla nazionale. Così preferì andare in Spagna per allenare la nazionale di quel Paese. Si trovò bene, ma non riuscì a fare più di tanto perché, in Spagna, allora il fondo era ad uno stato ancora primordiale. Bisognava improvvisare tutto, non c'erano quasi nemmeno le piste. Prima di tornare a Ziano fece comunque in tempo a tenere un corso per allenatori, il primo del genere. Alla Federazione spagnola, che si era resa conto di come stava operando Nilsson in Italia e che voleva chiamare a sua volta un allenatore svedese, consigliò di fare una scelta diversa: troppa la differenza fra il carattere mediterraneo e quello scandinavo e, per di più, come Nilsson non c'era nessun altro e non si sapeva come sarebbe andata a finire. Fu il suo commiato e del fondo non si interessò più. Guarda la Marcialonga perché passa proprio le finestre di casa, ma per il resto non ha più mosso un passo. Dopo il 1960 in FISI qualcuno aveva promesso la qualifica di maestro di fondo agli azzurri, ma nessun diploma è mai arrivato a quelli della sua generazione. In pensione dal 1981, continuò ugualmente a insegnare sci, ma alpino, a San Martino di Castrozza, fino al 1991, mettendo a frutto il diploma che si era guadagnato negli anni '50 in un corso tenuto alla Marmolada.