Il post Marcialonga di Giorgio Di
Centa, e Gabriella Paruzzi. Che in Ivano Zambelli ha trovato l'angelo custode che l'ha
accompagnata nella sua fatica
CAVALESE (dalla
cronaca di Nello Morandi) - Anders Aukland e Gabriella Paruzzi sul gradino
più alto dei rispettivi podi bastano per legittimare la prima volta della Marcialonga in
Coppa del Mondo. Questo è il risultato di due avventure distinte, molto temute alla
vigilia, perché piene di incognite, ma alla fine molto gratificanti per tutti: per gli
atleti che ne sono stati protagonisti, per gli organizzatori che dovevano dimostrarsi
degni anche di un evento di coppa, per il pubblico che è stato ripagato da gesti atletici
assolutamente di grande qualità e, infine, ma non per ultimo, per il fondo azzurro,
spesso preso a pallate dalla critica, che ha risposto con una vittoria (Paruzzi) di grande
spessore sportivo e con un secondo posto (Di Centa) di grande impatto emotivo. Di più,
con i chiari di luna della vigilia, non era lecito attendersi.
Due storie diverse, dicevamo. Più lineare,
ma non meno coinvolgente, quella delle ragazze che è finita praticamente prima ancora di
cominciare, quando Gabriella ha capito che le altre facevano fatica a tenerla. Una gara di
testa, la sua, che non è mai stata attraversata dai parossismi dell´ansia, proprio
perché la nostra numero uno è talmente matura, talmente in sintonia con le proprie
sensazioni, da indovinare subito le cadenze del suo incedere in maniera da non correre mai
il rischio di attivare la spia della riserva.
E quindi Gabri è arrivata a Cavalese, bevendosi in bello stile la temuta Cascata,
sorridente e rilassata come fosse reduce da un proficuo allenamento. Ma i distacchi -
2´10" alla Shevchenko, 4´16" alla Henkel - sono lì a testimoniare che la
carnica ha sciato davvero tra le stelle.
Copione diverso per la gara maschile che si
è ispirata per certi versi al ciclismo e, per altri, ad un thriller di Brian De Palma.
Decisamente «ciclistica» è stata la fuga senza speranza di Maurizio Pozzi all´inizio,
così come ispirata allo sport delle due ruote la tattica dei fratelli Aukland che, con
nordica freddezza, avevano immediatamente individuato in Giorgio Di Centa l´avversario
più pericoloso. Jorgen, il vincitore dello scorso anno, era ormai «secco», perché
aveva pagato il ritmo che gli atleti di coppa del mondo avevano imposto fin dall´inizio
salendo verso Canazei. Quindi ha deciso di spendere le sue ultime energie (che poi non
erano, in realtà, le ultimissime) in favore del fratello, Anders, componente della
squadra norvegese di coppa del mondo e quindi a caccia di punti importanti.
Teatro dell´azione la pista mondiale di Lago dove i due Aukland, Di Centa ed il
sorprendente svedese Tynell, da anni buon comprimario nelle marathon, avevano lasciato la
compagnia dei migliori, una quarantina di atleti che, da Canazei in poi, avevano imposto
alla gara un ritmo indiavolato. Jorgen a tirare, testa bassa, una, due, tre spaventose
trenate, poi il buco nel quale si infila Anders certo che nessuno l´avrebbe potuto
seguire. Tynell ha fatto puff, Di Centa è rimasto sorpreso, Jorgen in posizione di
attesa. Ma il fratellino di Manu era in una delle sue giornate di grazia: invece che
scoraggiarsi, s´è posto sulle piste del norvegese ed in breve lo ha raggiunto. Il tempo
di tirare il fiato, poi Giorgio ha preso l´iniziativa con Anders Aukland che, ogni tanto,
soprattutto in coincidenza di qualche dislivello sembrava faticare.
Ed ecco la Cascata. Giorgio ancora primo, l´altro dietro in posizione di attesa. Poi il
colpo di scena: Di Centa comincia a perdere la presa, capisce di colpo che di braccia
sarebbe stata una lotta impari e si ferma a sciolinare. Il norvegese ne approfitta e se ne
va, ma non prende molto, forse 150 metri, più uno in meno che uno in più. Sembra non
essere più molto brillante e, infatti, l´azzurro gli mangia metri su metri. Per un
attimo, ma solo per un attimo, sembra che un ricongiungimento non sia poi tanto
miracoloso: ma il traguardo è troppo vicino e Anders lo vede, moltiplica le sue energie,
e riesce a tagliarlo con il volto devastato dalla fatica, ma primo.
Forse anche meritatamente primo se si pensa che, in una gara così, è difficile sperare
di vincere se si pensa di poter prescindere dalle braccia.
E questa sua vittoria, bella quanto sofferta, esalta ancor più il posto d´onore di Di
Centa che, proprio nel momento di maggiore difficoltà, ha denunciato una lucidità che
non gli è solita. Fermarsi quando si è in testa non è facile. Lui lo ha fatto, sapendo
che solo così non avrebbe perso tutto o almeno quel secondo posto che, da ieri sera, può
sicuramente incorniciare tra i risultati più belli della sua tormentata vita di campione.
Fin qui la bella cronaca di Nello Morandi
che ricalca, nellentusiasmo di uno che ama il fondo, quanto già avevamo scritto
ieri nellimmediatezza della conclusione senza conoscere ancora certi particolari
tranne ciò che si poteva capire dalla diretta TV. Particolari che oggi Giorgio Di Centa
ci ha confermato in un lungo colloquio telefonico nel quale ha rivissuto momento per
momento la sua impresa. I postumi della corsa, durissima, se li ritrova in un
indolenzimento che tocca la parte bassa della schiena, le spalle, i pettorali, le parti,
cioè, maggiormente sollecitate nellazione di spinta nella tecnica classica.
Le gambe no. Non ho avuto nessun problema in gara e sono loro ad aver fatto la
differenza perché quanto a braccia non posso certo competere con quegli avversari.
E dire che sono uno che sa spingere, come ti ho già raccontato a proposito degli
allenamenti con gli skiroll su per lo Zoncolan. Ci tenevo a questa gara, lavevo
preparata al meglio curando ogni particolare prima e poi anche in corsa. Ero tranquillo, e
a questo ha contribuito la breve permanenza con gli altri della squadra a Riva di Tures.,
Un bellambiente, abbastanza in quota, dove ho potuto rifinire la preparazione.
In gara, poi, ho saputo concentrarmi a dovere, per cercare il massimo risultato con il
minor sforzo possibile. Rifornimenti nei punti concordati con i tecnici, senza saltarne
nessuno, con una piccola scorta di maltodestrine e sali nel marsupio nel malaugurato
evento che saltasse lassistenza. Controllo accusato della posizione, che è
importante nel classico. Quindi mai giù troppo con il busto perché viene il mal di
schiena e, piegandoti, fatichi ad assimilare i rifornimenti, braccia ben strette e non
allungate completamente dietro come vorrebbe il manuale. Alternando la spinta di braccia
con il passo spinta per sfruttare anche le gambe, diversamente da quanto facevano i due
fratelli Aukland. Loro sono più allenato di noi in questo esercizio, ma in compenso nio
li mettevo in difficoltà ogni volta che si presentava uno strappetto. Al punto che quando
mi sono trovato con Anders ho pensato che qualche possibilità di staccarlo sulla salita
finale cera. Se non ci fossero stati i binari ondulati, con neve smossa, forse avrei
potuto tenere con la sciolina che mi restava, ma le braccia non ce la facevano più. Mi
sarei fermato prima a sciolinare se lavessi immaginato; invece lho fatto più
avanti, quando ho visto Aldo Fauner. Cera ancora un tratto duro, ma non è bastato
per riportarmi sotto perché Aukland andava ancora forte e il traguardo era ormai vicino.
Sono arrivato ancora fresco, ma di più non potevo fare".
Cosa ti ha dimostrato questa corsa?
Che non è la distanza a pesarmi, e questo lho già provato vincendo negli ultimi
due anni il titolo italiano della 50 km, che è più corta ma sicuramente più dura,
e che potrei pensare alle granfondo in futuro. Ne riparleremo dopo Torino 2006. Per
ora lobiettivo restano le Olimpiadi, anche se un pensierino alla Marcialonga, se se
ne presenteranno le condizioni, potrei farlo già lanno prossimo. I prossimi
obiettivi? Linseguimento degli "assoluti "nel fine settimana a
Piandelagotti, in particolare la prima gara a tecnica classica. Poi salterò la gara di
Coppa a La Clusaz , che è a tecnica libera, per preparare adeguatamente quelle successive
al Nord. Lideale sarebbe una settimana di allenamento in altura. Mi trovo bene e mi
ricarica. Con la squadra via, il problema è trovare qualcuno per condividere la
preparazione. In due si fatica meno e si rende di più.
La classe non è acqua, ha scritto ancora Nello Morandi a proposito del successo di
Gabriella Paruzzi. E la classe, se applicata a innate e levigate attitudini, serve
per vincere, ma non solo. Serve per vincere bene, per lasciare un buon ricordo, per non
sbracare, per dare a Cesare quel che è di Cesare. E Gabriella Paruzzi, una che non ha mai
fatto ricorso ad alibi di comodo, ieri all´arrivo di Cavalese ha dato una grande
dimostrazione di classe. Per come ha vinto, per come ha evitato di nascondere la sua gioia
commossa e per l´immediato tributo di popolarità che ha voluto dare a Ivano Zambelli,
skiman della nazionale, ma soprattutto buon fondista, che l´ha pilotata, seguendola come
un´ombra per tutti i settanta chilometri. Ivano è stato fondamentale - dice subito
-, lui che è un grande esperto sulle lunghe distanze ha saputo darmi i tempi giusti ed è
sempre intervenuto quando avevo bisogno di lui. Questa vittoria è anche sua e anche di
chi ha fatto questa scelta. Poi rivela: Durante la gara gli dicevo: Ivano sei
un mito, e lui ribatteva: sono troppo orgoglioso, troppo felice. Bello, vero?
Reso il tributo dovuto al suo angelo custode, Gabriella torna a parlare di se stessa.
"Vincere qui - ammette - è una doppia soddisfazione. La Marcialonga è tra le più
belle gare nel circuito delle gran fondo e, di conseguenza, visto che io avevo anche poca
esperienza su queste distanze, non esito a dire che questa è una delle vittorie più
belle della mia carriera. E´ una emozione incredibile passare attraverso i paesi, con la
gente che ti incita e vedere che non incita solo te perché sei italiana,ma anche la tua
avversaria straniera. Davvero un bel clima e una grande lezione di sportività. Tra
l´altro è anche una vittoria importante in proiezione Coppa del Mondo perché mi ha
consentito di avvicinare la Smigun, ora a 24 punti, ma soprattutto di distanziare ancora
di più le inseguitrici, soprattutto la norvegese Skofterud.
Alla vigilia avevi molte perplessità,
ed anche quando hai deciso di fare la Marcialonga non sembravi del tutto convinta...
Mi spiego. Le mie perplessità non
derivavano dalla paura di disputare questa gara, ma di quanto avrei pagato questo sforzo e
di quanti giorni mi sarebbero serviti per ricuperare le energie. Il fatto di aver fatto
una gara in progressione, senza strappi, soprattutto sulla difficile salita finale, mi fa
sperare che anche questo timore sia infondato o fondato non del tutto.
Ma chi è lIvano Zambelli che l
ha accompagnata passo per passo nella sua fatica? E lo skiman della nazionale e
quello personale di Pietro Piller Cottrer , e in più è anche un´eccellente
fondista, soprattutto nelle gare di lunga durata. Nel suo carniere 3 edizioni della
Marcialonga e 10 Vasaloppet con un 15° posto come miglior risultato.
A 24 ore di distanza, è ancora gasato per
limpresa di Gabriella. Ne parla tutto commosso: Avevamo studiato la tattica in
tutti i dettagli, cercando di prevenire anche gli imprevisti che Albarello e i tecnici
hanno valutato da ogni angolazione. Lidea è partita dalla squadra ed è stato fatto
un gioco di squadra. Un lavoro mirato nella preparazione degli sci (normale Rode -2° -7°
fin sotto la cascata e poi violet speciale 0°+ 2°C e studiato nellalimentazione.
Rifornimento ogni 5 km, borraccia dietro nel caso ne saltasse qualcuno, come è poi
capitato per un ingorgo di traffico. E venuta buona dalle parti di Lago di Tesero.
Io, che nelle granfondo mi sono fatto una certa esperienza, dovevo prestarle
assistenza in corsa, restandole al fianco, per dettare il ritmo giusto. Unemozione
che è difficile da raccontare. Ho cercato di aiutare Gabriella, è andato tutto per il
meglio ed ora sono veramente contento ed orgoglioso. Ma il fatto che sia stato tutto un
gioco di squadra, dalla preparazione allesecuzione del piano, mi rende ancora più
felice perché posso dividere la mia gioia con tutti.
Giorgio Brusadelli
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