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NAZIONALI ORMAI IN DIRITTURA. QUALE DESTINO PER FAUNER?

Questione di giorni per l'ufficializzazione degli organici, la cui consistenza dipende dal budget che il Consiglio federale assegnerà alla Direzione agonistica

Già designati i vari allenatori, resta da chiarire la situazione della squadra Lunghe distanze, che si vorrebbe affidare all'azzurro più vincente che lascia l'attività. Un problema ormai annoso che vorremmo veder risolto, quello dei corsi per allenatori

 Una settimana ancora e poi si scopriranno le carte delle squadre nazionali. Che sono già delineate ma, per essere ufficializzate, si aspetta solo di conoscere il budget a disposizione dal quale dipenderà la consistenza dei vari organici: atleti e tecnici. Anticipare i nominativi in questo momento sarebbe inopportuno oltre che controproducente: non è qualche giorno in più o in meno che può cambiare la situazione. Di certo ci sono solo gli allenatori: Giuseppe Chenetti e Francesco Semenzato per la squadra maschile di Coppa del Mondo che, dopo un anno di separazione, torna ad agganciarsi a quella femminile, affidata a Marco Selle che potrà contare sulla collaborazione di Franco Cardini, allenatore della Forestale per quanto riguarda la seconda squadra, quella che nella passata stagione era denominata A2+Under 23. Come annunciato nella riunione della Direzione agonistica a Clusone con i responsabili e gli allenatori dei Comitati, della quale abbiamo già parlato, in un successivo incontro della Direzione agonistica è stato ribadito che i maggiori investimenti saranno indirizzati alle squadre di Coppa e al settore giovanile, affidato a Roberto Campaci e Carlo Petrini, giustamente ritenuti prioritari; le squadre intermedie probabilmente dovranno arrangiarsi un poco con l’aiuto dei Corpi militari. Lunghe Distanze con Silvio Fauner (nella foto) a gestirla se si concretizzeranno certe premesse. Determinante, per quanto riguarda test e raduni, la collaborazione di Rovereto dove già nella passata stagione le squadre ospitate si sono trovate a loro agio.

Che le cose siano ben messe, del resto, lo scrive anche il giornale L’Adige. Un articolo di Nello Morandi, competente come pochi, particolarmente attento alle cose del fondo anche in un momento in cui le notizie sportive si imperniano su calcio, ciclismo, auto e moto. Dimenticate per il momento le medaglie olimpiche, dello sci si tornerà a parlare fra sei mesi

TRENTO 10 maggio - Manca un solo tassello e poi il lungo tormentone è finito. Stiamo parlando dell'organigramma del fondo azzurro, sia maschile che femminile, che, dopo le trionfali Olimpiadi di Torino, ha dovuto affrontare una fase di assestamento che, solo in parte, è fisiologica, visto che i Giochi, da sempre, concludono un ciclo sportivo. Tra l'altro l'appuntamento aveva anche congelato una situazione che, troppo a lungo, non poteva protrarsi: quella relativa al settore femminile, guidato da Gianfranco Pizio, che, formalmente, era coordinato dal direttore agonistico Marco Albarello ma, di fatto, funzionava da separato in casa. Una storia lunga, punteggiata di incomprensioni, beghe, conflitti caratteriali che, in questa sede, sarebbe troppo lungo rivangare. Anche perché Pizio è stato sostituito da Marco Selle, un tecnico che crede nel lavoro in equipe e quindi è ben disposto a collaborare con l'amico-collega dei maschi «Sepp» Chenetti e con Marco Albarello.

Selle, ottenuto il distacco dalla Polizia, si è già messo al lavoro: un lavoro che, conoscendolo, è sì fatto di tabelle e di programmi, ma anche di produttivi contatti umani. Per quanto riguarda ancora il settore femminile, decisamente da rifondare specialmente dopo il ritiro di Gabriella Paruzzi, sembra che ci possano essere spiragli di speranza per un ritorno di Cristina Kelder, la punta di diamante delle giovani, che era stata bloccata lo scorso anno per un problema di aritmia. Cristina aveva deciso, in accordo con i medici, di smettere, mentre ora sembra che la Federazione l'abbia convinta a farsi operare per eliminare un disturbo dal quale, in molti casi, si riesce a guarire. Sarebbe un grande acquisto. Dal canto suo Chenetti ha chiarito - nella maniera più produttiva per tutti - le incomprensioni sorte, dopo le Olimpiadi, con qualcuno dei big della squadra maschile e, anche lui, è già al lavoro, anche perché è abbastanza vicino il momento in cui bisogna cominciare la preparazione a secco.

 Come dicevamo in apertura, comunque, a questo mosaico manca un tassello: Silvio Fauner, (che vediamno nel momento più bello a Lillehammer 1994, mentre batte Daehlie in volata, portando la staffetta azzurra all'oro) investito sul campo da Selle (e dalla Fisi) come suo successore alla guida della squadra delle lunghe distanze, non ha ancora il patentino di maestro e quindi, formalmente, i requisiti per poter fare il tecnico. In questi giorni si sta cercando di aggirare l'ostacolo visto che Fauner, dato il suo passato, verrebbe esentato dalla parte pratica (chi dubita che Silvio non sappia sciare?), ma si dovrebbe almeno sottoporre ad un esame teorico, necessario anche se l'ex olimpionico si sta battendo per avere il patentino esclusivamente per meriti sportivi. Si tratta, insomma, di smussare qualche spigolo ed anche questo problema dovrebbe trovare soluzione. (nemo)

Queste ultime considerazioni di Nello Morandi sono significative e meritano un commento poiché ci consentono di riaprire un discorso, quello della formazione degli allenatori, che portiamo avanti da quasi 40 anni e sul quale in linea di massima tutti concordano senza che, alla fine, si riesca a cavare un ragno del buco. Stessa solfa da sempre: ti dicono che hai ragione ma restano regolarmente al palo. Per diventare allenatori bisogna prima essere maestro di sci e poi seguire un corso di una ventina di giorni tenuto dalla Scuola tecnici federali con la Direzione agonistica. Per essere maestro di sci, a sua volta, bisogna superare prima una selezione e poi un corso professionale, teorico e pratico, della durata di tre mesi, che viene organizzato dalle Regioni sulla base di una legge quadro nazionale che risale a quasi 25 anni fa.

Se ne esce con un bagaglio culturale e tecnico che, da allenatore, viene in gran parte accantonato sul piano nozionistico e rivoluzionato su quello tecnico perché la sciata da competizione è del tutto diverso da quella stereotipata del maestro così come viene impostato dagli istruttori nazionali. Come un manichino: bello da vedere in fatto di gestualità, ma per niente redditizio sul piano agonistico. Una trafila, quella del corso maestri, che può andar bene e rivelarsi produttiva per chi intende trarne un guadagno, anche se non ci si campa, non per l’ex atleta di alto livello che, a carriera agonistica conclusa, vorrebbe restare nell’ambiente come allenatore. In tal caso, poiché sa già sciare e non deve fare specifico uso di certe nozioni apprese nel corso maestri, per lui sarebbe più importante impratichirsi di ciò che gli verrà utile per seguire, impostare e crescere un atleta. E questo obbiettivo lo si raggiunge dedicando a queste nozioni specifiche maggior tempo di quello offerto dai corsi allenatori così come sono impostati. Un’infarinatura che serve ad arricchire le precedenti esperienze agonistiche ma non sufficientemente formativa.

Personalmente, dunque, ritengo che per formare gli allenatori, che sono "cosa" essenzialmente federale, si debba letteralmente ribaltare la situazione. Costruirli al di fuori e al di là dei corsi maestri regionali, nell’ambito delle sole strutture federali e partendo da lontano. Selezionarli, cioè, molto prima che abbandonino l’attività agonistica, fra quelli che manifestano l’intenzione di riciclarsi in tecnici, nel ruolo di skiman solitamente, e provvedendo ad approfondire le loro conoscenze, teoriche e pratiche, in occasione dei raduni che si effettuano già a livello di Comitati, quando il tempo libero lo si passa giocando a carte o con la play station o inondando di messaggi i telefonini. Una condizione che, con un po’ di buona volontà, permetterebbe di trovare un’oretta da dedicare a per questo tipo di formazione. Ripetuti nel tempo, questi spazi di discussione costituirebbero anche una forma di educazione per la vita di tutti giorni ma anche per quella che si prospetta di lì a qualche anno. Che per i militari è un rientro al corpo di provenienza dove non si sa come impiegarli. E’ un discorso sicuramente utopistico, ma meriterebbe di essere valutato, affrontato e possibilmente risolto nella direzione indicata.

 Il caso di Silvio Fauner è significativo al riguardo. E’ in nazionale da una vita, è l’atleta che ha più vinto in assoluto. Sa presentarsi bene. All’immagine che si è guadagnato può aggiungere il fatto che in tutti questi anni ha accumulato un bagaglio di esperienze che pochi altri possiedono. E se è anche vero che raramente chi è stato un grande atleta diventa altrettanto grande come allenatore, se si fosse seguita questa trafila oggi lui si sarebbe potuto investire del nuovo ruolo di allenatore semplicemente seguendo il corso specifico della Scuola tecnici federali. Gli avrebbe offerto l’opportunità, che ora gli manca poiché dovrebbe prima affrontare e superare il corso maestri, di affinare le conoscenze già maturate nell’attività agonistica, sulla base degli insegnamenti degli allenatori che lo hanno affiancato nella sua evoluzione.

Qualcuno, a questo punto, mi può anche dire di venir giù dal fico in quanto manco di realismo, ma resto ancorato a questa idea finché non mi si dimostrerà il contrario. E certamente non con le tesi fin qui sostenute dagli attuali responsabili della Scuola tecnici federali. Che secondo me non dà al fondo l’autonomia che si è meritato anche a suon di risultati che confermano la validità dei tecnici che hanno contribuito ad ottenerli portando gli atleti con la testa giusta e nella forma migliore al momento indicato. Poche chiacchiere, ma parlando con i fatti. Cosa che, invece, non ha fatto lo sci alpino, che pure detta legge nell’ambito della stessa scuola. Tanto fumo, per niente arrosto. Anzi, l’ha bruciato proprio in vista delle Olimpiadi. Ci sarebbero dunque tutte le premesse per passare dall’utopia alla concretezza ma vi si oppone un immobilismo deleterio che si protrae da troppo tempo. In un’azienda privata, come del resto è la Fisi, ci si affretterebbe a tagliare i rami secchi, improduttivi; in via Piranesi crescono invece di grado, di mansione e di prebende. Salvo poi trovarsi regolarmente con il sedere per terra nei momenti che contano veramente.

Giorgio Brusadelli
www.fondoitalia.it




Da tonussi, Giovedě, 11 Mag 2006 10:42, Commenti(0)
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