La scomparsa di Diego Segafredo, skirollista e fondista
Per 7 anni ha lottato contro il male del secolo: amante della vita ne ha fatto una battaglia personale aiutandosi con lo sport fino all'ultimo. Un esempio per gli amici e le generazioni che verranno
18 NOVEMBRE - Alla fine non ce l’ha fatta più: il male del secolo ha vinto la sua battaglia contro lo spirito e la voglia di combatterlo. Una lotta impari, che si è comunque protratta per più di 7 anni, dalla seconda tappa della Millegrobbe quando Diego Segafredo, classe 1951, fondista e skirollista si è trovato in difficoltà. Gli avrebbero poi diagnosticato un cancro al pancreas, un brutto male che l’ha accompagnato da allora in poi e che quest’anno si è aggravato, trasferendosi anche al fegato. Un calvario che Diego, come scrive l’amico Maurizio dando la notizia della sua scomparsa, nonostante la consapevolezza del suo stato di salute, ha affrontato in maniera quasi spavalda continuando a gareggiare sia nelle gare di granfondo di sci, sia nelle manifestazioni sportive di skiroll in tutta la penisola, fino alla primavera di quest’anno. Lo ricorda dunque come un uomo estremamente positivo che nello sport ha trovato il suo stile di vita e la ritrovata voglia di vivere che solo il suo amatissimo altopiano di Asiago sa regalare ai suoi giovani migliori.
Campione nello sport e nella vita di tutti i giorni, lo definisce, ed è proprio questo il miglior modo di ricordarlo perché serva come esempio non tanto a chi lo conosceva e che ha già avuto modo di apprezzarlo, quanto alle generazioni che verranno. Non c'è esempio migliore perché ne traggano insegnamento in tempi in cui l’adattamento al peggio e la capacità di sofferenza non rientrano più nel patrimonio comune di generazioni passate che la vita hanno dovuto costruirsela con il sudore della fronte e tanti sacrifici.
Ci sarebbero tanti aneddoti, storie, fiumi di immagini della “vissuta” vita di Diego che l’amico Maurizio potrebbe raccontare, ma, dice, “la mia mano si blocca, la mia mente corre veloce perché non riuscirebbe a tradurle in parole. Lascio quindi ad ogni amico o persona che lo ha conosciuto la personale testimonianza della sua spiccata simpatia e sincerità che albergava nel suo cuore”.
E sono in tanti che lo potrebbero fare, primi di tutti i master che se lo sono trovati al fianco negli sforzi che le gare di fondo o di skiroll richiedono ma che riempiono il cuore di chi la passione della fatica la vive nello sport oltre che nella vita quotidiana. Come una catarsi.
Due fra i tanti: Roberto Martini e Armando Bonaguro con il quale si recava alle gare. Roberto è da considerare un’icona dello skiroll: fu il primo a provare e collaudare gli skiroll con cui Fabio Crestani diede l’avvio a questo sport dal lato agonistico. Due attrezzi di ferro, con snodo centrale e ruote da carrozzina per bambini dai quali, nel corso degli anni, sarebbero derivati quelli attuali in lega d’alluminio o con struttura di carbonio che aprono frontiere sempre più nuove. Ricoverato all’ospedale di Asiago, conobbe Diego che faceva l’infermiere tanto lì che a Mezzaselva. Divennero amici. L’altro giocava calcio, ma finì inevitabilmente per trasformarsi in fondista, cosa naturale del resto sull’Altopiano. Tanto da chiedere che nella sua cassa mettessero con lui anche un paio di sci come la cosa più cara che lo accompagnasse nel suo cammino per l'al di là, e un altro paio sul feretro al posto dei fiori.
Lo skiroll fu un’altrettanto naturale conseguenza perché propedeutico allo sci nelle stagioni in cui non c’è neve. Si allenavano insieme sui 15 km di strada che da Pedescala portano a Mezzaselva di Roana, o sulla salita che dalla casa di Diego porta a Verena, dove c’è l’arrivo della Bostelroll. Nei tempi belli, ma anche quando il suo fisico era stato minato dalla malattia, al punto di portarsi dietro nel marsupio il dosatore della chemio.
Pur nella consapevolezza della fine che si avvicinava ogni giorno di più, viveva per lo sport e con lo sport che ha certamente contribuito ad allungargli la vita e a sollevargli lo spirito. Ma più che il proprio quello degli amici per i quali la sua sofferenza è stata un esempio di vita poiché lo hanno visto lottare sempre, con tutte le energie che ancora gli restavano, contro il male ma anche contro gli avversari. Sempre combattivo. E questo fino a pochi mesi fa. Fino all’ultimo è andato nel bosco.
Ma se il fisico non reggeva più gli sforzi intensi, gli permetteva comunque di restare al franco degli amici continuando a condividerne la comune passione. Li accompagnava in macchina a valle, o li seguiva fino a Verena per riportarli a casa. Insomma, sapeva sempre rendersi ugualmente utile, regalando agli amici la propria amicizia. Con il sonno dei giusti, adesso sta sicuramente in un mondo migliore e, come scrive Maurizio ricordando che rimarrà sempre nei nostri cuori con tanto amore, “guardi dall’alto le tue amatissime montagne che in questi giorni si sono incorniciate di bianca neve e si sono inchinate a te per accoglierti fra le loro braccia”. Il commiato più significativo per un fondista.