Più considerazione (e budget) per le Lunghe Distanze
Una nazionale che ha acquisito tanti titoli e meriti ma deve ricorrere a qualche sponsor per continuare la propria attività poiché la Fisi, al di là di un pulmino, non ha sborsato un solo euro
6 APRILE – Tempi di ponderazione, questi, per Silvio Fauner (nella foto con Piller Cottrer). Il direttore agonistico, infatti, sta pensando all’organigramma delle squadre nazionali per la prossima stagione agonistica, che sarà imperniata su Coppa del Mondo, Tour de Ski, Mondiali di Liberec e Coppa Europa. Quindi gruppo di Coppa del Mondo maschile e femminile, gruppo Vancouver 2010, Under 23 e juniores (ancora insieme?), Lunghe Distanze per la Fis Marathon Cup. Un grosso contingente, tutto sommato, la cui consistenza si basa sui risultati della stagione passata e sul budget che la Fisi assegnerà al fondo. Sempre meno soldi, con un ulteriore possibile taglio dovuto ad una riduzione del finanziamento da parte del CONI quantificabile nel 17 %, e magari con qualche ulteriore stretta se continueranno a mancare gli sponsor di cui il presidente Morzenti va vanamente in caccia da più di un anno.
Le prospettive, almeno sulla carta, sono migliorate poiché la Fisi non ha avuto una stagione migliore dai tempi, ormai lontani, di Tomba e Compagnoni. Le Coppe di Denise Karbon e Manfred Moelgg lo stanno testimoniare. Il fondo ha fatto la sua parte, e così tante altre specialità minori. La TV, dopo tanti tentennamenti, ha dato finalmente credito anche allo sci, per cui non è certo mancata la visibilità che è la sola molla che possa far scattare gli sponsor.
L’importante è trovare il modo giusto per l’approccio, che non era certo quello di Romy Gai sul quale il presidente Morzenti aveva tanto contato, per ricavarne solo delusioni. Ma neppure quello dello stesso Morzenti quando si è mosso da solo. C’è da augurarsi che, con un anno in più di esperienza, riesca a cambiare la situazione che comunque nel fondo non ha certamente influito sulle prestazioni degli atleti che hanno potuto disporre di tutto ciò che era necessario. Altre nazioni stanno molto peggio.
L’unica squadra che potrebbe giustamente lamentarsi è quella delle Lunghe Distanze: tutto quello che ha ricevuto dalla Fisi è un pulmino, una tuta e un coprituta. Le trasferte se l’è pagate di tasca propria, ricorrendo a tre sponsor: Scame (per l’80 %), Marcialonga e Coop Trentino. In passato disponeva di un finanziamento attorno a 30 mila euro, che qualche consigliere federale avrebbe eliminare ma che Albarello è sempre riuscito a ritagliare dal budget generale del fondo. Serviva a coprire le trasferte più costose, negli USA, in Canada e in Scandinavia, che vengono effettuate in aereo; nel resto dell’Europa ci si sposta con i pulmini. Prima due, quest’anno uno, giusto su misura per i quattro atleti Marco Cattaneo, Pierluigi Costantin (Fiamme Oro), Bruno Carrara e Tullio Grandelis (Carabinieri), gli allenatori Sepp Ploner e Giuseppe Smaniotto, lo skiman Angelino Carrara. Quest’ultimo presta la sua opera del tutto gratis, per amicizia. Smaniotto lo fa per passione. Inserito nel giro da 6 anni, non fa parte del gruppo sportivo Fiamme Oro ma presta servizio sempre nella Polizia di Stato, in un altro ufficio della caserma di Moena; per una questione interna non può quindi godere del distacco e deve “bruciare” le sue ferie. La famiglia, ovviamente sacrificata, non ne è certo entusiasta.
Prima di loro l’allenatore era Marco Selle, passato poi alla nazionale femminile e quest’anno a quella maschile, che per stare nel budget prenotava in anticipo i voli low cost e, per tagliare le spese, invece che in albergo portava la quadra in appartamenti in affitto dove si provvedeva in proprio a cucinare. Sulla stessa linea, naturalmente, si sono mossi anche Ploner e Smaniotto, che hanno imparato a far di necessità virtù. Silvio Fauner ben conosce la situazione per il semplice fatto che i suoi ultimi tre anni da atleta li ha passati in questa stessa squadra, assoggettandosi, come gli altri, alle ristrettezze imposte dal budget risicato.
Nel suo nuovo ruolo di CT, però, non è stato in grado di venir incontro alle necessità della sua ex squadra, che ha quindi dovuto arrangiarsi con la propria libera iniziativa: con il contributo della Scame ha pagato le spese di trasferta, i prodotti della Coop Trentino sono serviti per il vettovagliamento, mentre la Marcialonga ha potuto aprire altre porte in aggiunta a quelle che si erano già spalancate a suon di risultati. Anni trionfali nella Fis Marathon Cup. Due vittorie di Gianantonio Zanetel, una di Maurizio Pozzi e Marco Cattaneo, due di Lara Peyrot, altrettante di Cristina Paluselli (nella foto con Cattaneo) che si è imposta pure nella Vasaloppet, primo fondista italiano a tagliare il traguardo di Mora. Impresa epica.
Il che, sotto un certo aspetto, farebbe pensare che non esista concorrenza, che il circuito delle granfondo sia un giochino inventato appositamente per la nostra squadra, la sola che possa puntarvi con un massiccio investimento di atleti, di tecnici, di soldi, mentre tutte le altre nazioni vanno allo sbaraglio. Come tanti cani sciolti. Non è affatto così. Il successo di squadra, che si ripeteva con una regolarità tanto monotona da suscitare effettivamente questo sospetto e qualche riserva almeno nei primi anni, è semplicemente legato alla capacità di arrangiarsi. Di inventarsi sempre qualcosa di nuovo. Caratteristica tipicamente italiana che però, almeno nello sport, non porta a risultati se non va di pari passo con programmazione e organizzazione. Non è solo questione di disponibilità finanziaria o di materiale umano. Fosse per questo, l’Inter non avrebbe rivali nel calcio.
In questo caso, invece, ci troviamo di fronte all’espressione di una supremazia assoluta nei primi 5 anni, che travalica il valore dei singoli, pur bravissimi, ottenuta per lo più con un investimento minimo. Una spiegazione c’è: Marco Selle, che ha iniziato con le Fiamme Oro per dare maggior visibilità al proprio gruppo sportivo, è riuscito là dove hanno fallito i tecnici dei paesi scandinavi: cioè riciclare nelle granfondo internazionali elementi che, per anzianità o per effettiva disparità di valori, non erano più ritenuti in grado di tenersi al livello di Coppa del Mondo o Coppa Europa. E lo ha fatto talmente bene che alcuni di loro si sono guadagnati la selezione per le Olimpiadi.
E non è che i tecnici stranieri abbiano lesinato sforzi ed investimenti per mettere insieme squadre competitive: basta vedere gli elementi schierati dalla Norvegia, che all’inizio hanno tuttavia mancato il loro obiettivo poiché al superiore valore dei singoli gli azzurri hanno contrapposto la forza e il gioco di squadra. E, quel che conta, di una squadra formata da elementi provenienti da gruppi sportivi militari differenti, potenzialmente concorrenziali, che quando è stato necessario hanno saputo fondersi in un blocco unico per portare al traguardo finale uno di loro, accantonando momentaneamente rivalità e ambizioni personali.
Un monopolio che si è rinnovato di anno in anno, che altri hanno combattuto esercitando pressioni nell’ambito della Fis quando si è trattato di concordare i calendari. Si è ricorsi al trucco di alterare il “fifty fifty” originale, e cioè il pareggio fra il numero di gare a tecnica libera con quelle a tecnica classica, diminuendo le prime nelle quali i nostri atleti si esprimono meglio ed aumentando le seconde che esaltano invece i nordici e qualche specialista puro della spinta di braccia. Prima il ceco Stanislav Rezac, poi i fratelli Jorgen e Anders Aukland, il vincitore dell’ultima Marcialonga, in fuga e irraggiungibile da metà gara in avanti, oppure lo svedese Jerry Ahrlin che si era imposto nella precedente.
Costoro hanno cominciato a vincere da quando si sono fatti dei team personali, mentre la nostra è la sola nazionale in pista in quanto tale. Alla prima apparizione alla Vasaloppet ci avevano accolto come gli interpreti del classico stereotipo di italiani spaghetti o maccheroni, neppure fossimo straccioni che venivano a imparare il mestiere del fondista dove lo sci di fondo è tradizione e cultura, ma da allora di passi in avanti ne sono stati fatti. Giganteschi, impensabili.
Nel 2004, a Lillehammer, proprio nel decennale dello sprint vincente di Silvio Fauner su Daehlie nella staffetta olimpica, Gianantonio Zanetel (nella foto) si è preso lo sfizio di battere in volata, e vincere la Fis Marathon Cup, nientemeno che Hjelmeset. Che è poi la medaglia di bronzo della 50 km che ha chiuso i Mondiali di Oberstdorf, e d’oro agli ultimi di Sapporo.
Da allora, quando si presentava in conferenza stampa, Zanetel veniva accolto come il “faro” della corsa; da parte sua l’attuale leader della squadra, Cattaneo, con un 5° posto ha ottenuto in tecnica classica il miglior piazzamento italiano alla Vasa che pure in altri tempi ha visto cimentarsi campioni del calibro di Nones e di Manfroi. Solo De Zolt ha fatto meglio, 4°, ma quando si correva ancora a skating. Adesso Cattaneo (nella foto sotto sul podio di Liberec) lo rispettano. Dell’ultima generazione di fondisti azzurri, che pure hanno vinto medaglie olimpiche e mondiali oltre che gare di Coppa, solo Pietro Piller Cottrer godeva di altrettanta considerazione prima di diventare campione del mondo: ma solo perché ha vinto la prestigiosa 50 km di Holmenkollen togliendo a Daehlie l’unico traguardo che manca nel suo palmares.
Obiettivamente non si può immaginare cosa si sarebbe potuto fare di più e di meglio. Bisogna dunque continuare su quella linea mettendo la Nazionale Lunghe Distanze nella condizione di reggere alla sempre più pesante concorrenza dei team stranieri. E cioè trovare, nel budget del fondo, una piccola fetta per questa squadra che, dopo l’abbandono di Costantin ha bisogno di schierare un valido sostituto. Potrebbe essere Sergio Bonaldi (Esercito), che dal biathlon è passato allo skiroll e ha ottenuto ottimi risultati nelle granfondo, ma anche l’altro alpino Simone Paredi, nato skirollista ma sempre più convincente anche come fondista.
Ci si aspetta dunque che Fauner, nella strutturazione delle squadre nazionali, abbia un occhio di riguardo anche per questa. Cioè che induca il Consiglio federale a recuperare in qualche piega del bilancio quei 20/30 mila euro che mettano Smaniotto e Ploner in condizione di affrontare la prossima stagione in autonomia, perché non si ripeta ciò che è accaduto l’anno scorso. Quando poco è mancato che la coppia di allenatori, se ne andasse in giro con il cappello in mano a fare la questua: per fortuna della squadra hanno trovato gente che li ha aiutati. Esclusivamente per pura passione, per attaccamento al mondo delle granfondo e non certo per scarico di coscienza o per il poco che potrebbe ottenere sul piano della visibilità. Delle granfondo hanno condiviso spirito e fatica e ammirato gli atleti della nazionale: il loro aiuto dovrebbe far meditare chi, in Fisi, stringe i cordoni della borsa o, magari, pensa addirittura di tagliare questa formazione.