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Pierluigi Costantin, 37 anni, ultimo traguardo la Vasaloppet

Dopo 17 anni di fatica su tutte le piste del mondo, a fine stagione lascia. Maestro, istruttore e allenatore, spera in un futuro da tecnico. Allenare i giovani, magari: ce ne sarebbe bisogno

 13 GENNAIO - E’ stato il migliore degli italiani alla Marcialonga. La sua ultima Marcialonga, dopo aver vinto la Millegrobbe (nella foto insieme a Roberto De Zolt). Dal prossimo anno Pierluigi Costantin, classe 1971, 37 anni compiuti proprio oggi, diciotto anni di professionismo passati a faticare sulle nevi di tutto il mondo, non sarà più un fondista élite. Alla gran fondo di Fiemme e di Fassa probabilmente parteciperà per divertimento, insieme agli amici. Quella in corso, è infatti la sua ultima stagione. Una stagione che lo zoldano trapiantato in Agordino ha incentrato su due gare: la Marcialonga, appunto, e la Vasaloppet, la mitica gran fondo di 90 km in programma a inizio marzo. Due monumenti dello sci di fondo per dire “addio”.

«Della Marcialonga sono soddisfatto. E’ mancato il podio, ma va bene così. Ho dato tutto. Anzi di più. Mi sono preparato, anche grazie all’aiuto delle Fiamme Oro, per un anno intero. Ma quei nordici sono di un altro pianeta. Ora vediamo cosa succederà alla Vasaloppet».

Nell’attesa, due chiacchiere per gettare uno sguardo sulla carriera e cercare di indovinare il futuro.

LA CARRIERA - «Della mia carriera sono soddisfatto. Certo, quando uno inizia, e magari lo fa come me vincendo i Giochi della Gioventù nazionali, pensa sempre di poter arrivare chissà dove. Poi però capisce quella che è la sua dimensione. Della mia non posso lamentarmi: ho vinto una Coppa Italia, un titolo italiano (la 10 km a tecnica classica nella stagione 2001-2002 ndr), qualche granfondo, sono arrivato secondo nella classifica della Fis Marathon Cup 2005-2006, ho partecipato al campionato mondiale in Val di Fiemme nel 2003, ho girato il mondo, sono stato in nazionale A. Essere in nazionale di Coppa del Mondo è stata un’esperienza bellissima. Ma non era quello il mio posto. Anche perché, essendoci arrivato a 32 anni e con una famiglia sulle spalle, stare via da casa sei mesi in un anno era troppo davvero».

 I CAMPIONI – «La differenza tra un atleta normale e un campione sta soprattutto nel fisico. Se il tuo corpo ti consente certe prestazioni, anche la testa ragiona in maniera diversa: ti fa sentire più sicuro, ti fa osare. Certo, un campione deve essere campione di fisico, di tecnica e di testa. Tra i campioni che mi hanno impressionato di più ci sono lo svedese Swan, il kazako Smirnov, il norvegese Bjorn Dahelie e il finlandese Juha Mieto. Quest’ultimo, vincitore di 5 medaglie olimpiche e 4 mondiali e celebre per essere stato battuto dallo svedese Thomas Wassberg nella 15 km olimpica di Lake Placid per un solo centesimo, ebbi occasione di vederlo a Forno di Zoldo nel parallelo che si organizzava all’inizio degli anni ’80: rimasi impressionato dalla suo fisico e … dalle sue scarpe numero 52! Tra i campioni italiani due su tutti: Maurilio De Zolt, per la sua voglia di vincere, e Silvio Fauner: il suo sprint nella staffetta di Lillehammer è un capolavoro ineguagliabile. Silvio poi ho potuto apprezzarlo per la sua disponibilità e umiltà nei due anni che ha passato con noi nella nazionale delle lunghe distanze».

IL DOPING - «Tutto quello che ho raggiunto l’ho raggiunto con le mie sole forze, allenandomi per diciotto anni 700 ore all’anno. Il doping purtroppo però c’è, come dimostrano i casi che ogni tanto vengono a galla. Penso anche però che spesso si fanno dei grandi polveroni senza che ci sia il minimo riscontro. E per me finché uno non è dimostrato colpevole, è innocente. Il doping, comunque, dovrebbe essere perseguito penalmente: è una truffa. Chi vince barando, infatti, non sottrae agli altri solo gloria, ma anche soldi e contratti degli sponsor».

IL FUTURO - «Ho le qualifiche di maestro, istruttore e allenatore. Mi piacerebbe che nel mio futuro ci fosse un ruolo da tecnico. Allenare i giovani o entrare nell’ambiente della nazionale. Chissà. Per il futuro del fondo mi auguro che i giovani che da Junior passano Senior possano avere la possibilità di crescere: oggi di fatto non ce l’hanno perché manca un circuito ben strutturato, come era un tempo la Coppa Italia.

Ilario Tancon

 

 

 




Da staff, Mercoledì, 13 Febbraio 2008 21:35, Commenti(0)
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