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SCI IN CRISI: L'AMARA LA STORIA DI BRIKO E SALOMON

Problemi di difficoltà economiche generali a parte, a predominare è la smania di business in un'attività che dovrebbe fondare le basi anche sulla passione. La Briko privilegia occhiali e abbigliamento e chiude la produzione delle scioline. A parziale consolazione per gli appassionati, la Rai ha dato qualche spazio anche in chiaro alle gare di Coppa del Mondo fin qui trasmesse solo sul digitale terrestre

 16 GENNAIO - Lo sci è in crisi non solo in Italia. Ne va preso atto. E’ crisi economica, innanzitutto, che coinvolge un po’ tutte le nazioni e, quindi, anche le federazioni, considerando che  il settore tira meno che in passato per  mancanza di grandi protagonisti, e questo implicitamente crea problemi di immagine che hanno la loro importanza perché per le TV , senza personaggi che buchino lo schermo, si registra un calo di interesse e, quindi, di spettatori. Una caduta a cascata.
Non è più possibile, o almeno è estremamente difficoltoso e a rischio, il giochino delle fatture fasulle sulle quali tanti sponsor, facendosi i loro sporchi interessi, avevano comunque dato un po’ di fiato a tante specialità sportive.  Ma, quel che più conta, mancano i soldi: con tante famiglie che faticano ad arrivare all’ultima settimana del mese, è logico che le prime ad essere tagliate siano le spese superflue. E lo sci è fra queste: non rientra fra le priorità anche perché la sua pratica comporta spese non indifferenti fra attrezzature, costi di trasferta, un minimo di refezione, impianti di risalita per lo sci alpino, uso della pista per i fondisti, e quant’altro necessita per passare una giornata all’aperto lontano da casa. E a risentirne, alla fine, ci sono gli operatori economici. che di tutte queste attività vivono e ne hanno fatto la loro fortuna.

Lo sci di fondo, in teoria, dovrebbe risentire meno della situazione che si è venuta a creare. Ma non è così: paga pure una crisi di praticanti. Sulle piste, nei giorni feriali, ci trovi pochi anziani: quei pensionati che magari non hanno nipotini cui badare e nella pratica sportiva trovano il modo migliore per mantenersi in salute e passare un po’ del loro tempo libero. I giovani o i gruppi familiari li vedi nei festivi, ma anche in questo caso l’afflusso resta un ricordo dei tempi andati. Trattandosi di uno sport di fatica, c’è sempre meno gente disponibile ad affrontarlo. E il mercato inevitabilmente ne risente: ha eliminato il fondo. Attrezzature e  materiali lasciano troppo invenduto nei normali negozi sportivi, e quindi sono reperibili  solo in quelli altamente specializzati o nelle località in cui il fondo è legato alla natura del terreno e alla tradizione.

Ultimamente, e per  fortuna,  è tornato d’attualità anche sui mezzi di informazione, giornali e TV, grazie al Tour de Ski, la gara a tappe che ha visto la squadra italiana battersi fino all’ultimo per il successo finale, uscendone con il duplice terzo posto di Pietro Piller Cottrer e Arianna Follis, che non è poco visto il campo di  partenti. Gran bella cornice di pubblico in Repubblica Ceca, a Nove Mesto e Praga, e in Val di Fiemme, le località che hanno ospitato le gare. Lo spettacolo agonistico, avvincente come mai,  ha richiamato evidentemente gli appassionati che da tempo disertavano le gare di Coppa del Mondo, e la Rai ha dato una bella mano trasmettendo prima sul satellite e, per quanto riguarda Asiago e la Val di Fiemme, anche in chiaro.

Magari un po’ tardi, si è capito che lo sci ha più seguito di certi programmi inseriti nel palinsesto mattutino delle tre reti. La presa di posizione di Morzenti, innescata da quella dei presidenti dei Comitati regionali, ha raggiunto il bersaglio. Nello sci alpino, per esempio, il poker di vittorie di Denise Karbon e quella che è tornata ad essere la valanga rosa domenica ha registrato un'audience (più del 10% e oltre 2 milioni di spettatori) che Rai 2  si sogna per tanti altri programmi magari più conclamati e certamente ancor più costosi ma a quanto pare di minor impatto. E lo stesso si può dire per la scalata del Cermis.

Per questo non ci riesce di capire i motivi che avevano portato la TV tedesca a rinunciare quest’anno  alla trasmissione delle due gare di Oberstdorf,  tanto da costringere l’organizzazione del Tour ha a tagliare la tappa tedesca sostituendola con due gare in più a Nove Mesto. Ma tant’è. Per quanto ci riguarda questo revival dello sci (e si spera di altri sport invernali) nella televisione in chiaro,  pone le premesse perché il presidente della Fisi, che tuttora annaspa, si trovi un po’ più spianate le strade, attualmente tutte in salita, che portano al reperimento di qualche sponsorizzazione. Prospettando le nuove opportunità di immagine, oltre alla leva dello specifico interesse economico dello sponsor, potrebbe magari toccare la corda dei sentimenti. Della passione, insomma, che per quanto riguarda il fondo trova più di un possibile sponsor fra i praticanti anche sul piano agonistico oltre che ricreativo.

Ma di passione evidentemente ce n’è poca se persino la Briko, che con le scioline si è fatta il nome all’estero, ne  ha chiuso la produzione. Puro “business”, ma non certo giustificato, la decisione presa dalla titolare attuale, Paola Del Vecchio, che ha preferito puntare su occhiali e abbigliamento (made in Cina per la maggior parte, ovviamente),  piuttosto che su quel  materiale che ha aperto la strada all’azienda e che, pur costituendo un mercato marginale, era sicuramente remunerativo dal punto di vista dell’investimento e ancor più dell’immagine. Un capannone a Varallo Pombia, tre addetti ai lavori (un chimico, l’addetto alla produzione e il coordinatore fra la ricerca e la produzione) ora licenziati, e la stessa produzione tutta automatizzata  grazie ai macchinari d’avanguardia di cui l‘azienda si era dotata fin dal debutto grazie alla lungimiranza del gruppo fondatore.

Scioline di scorrimento, come la base blu per neve fredda che è risultata determinante nella conquista delle medaglie mondiali a Oberstdorf, o la yellow e l’orange che hanno fatto spesso la differenza in caso di neve calda, ora resteranno patrimonio di chi ha saputo farne scorta, mentre avrebbero continuato ad  avere un buon mercato, come del resto le nuove cere andavano forte. Con la chiusura della produzione, cade implicitamente anche quella convenzione con la Fisi che aveva portato benefici ad entrambi.

Del resto per lo sci non va meglio all’estero, in Francia per la precisione, dove nella crisi è coinvolta addirittura la più nota azienda del settore, la Salomon, che ha avviato un piano di ristrutturazione con relativi licenziamenti, annunciato dal prestigioso giornale Le Monde, che vi ha dedicato un ampio servizio, e ripreso anche da quotidiani economici italiani. Un piano prospettato, giovedì 10 gennaio, da Amer Sports, il gruppo  finlandese proprietario, da due anni e mezzo, dell'azienda francese, che prevede  che gli sci Salomon non saranno più fabbricati in Francia a partire dalla fine 2008. Il risultato immediato è il taglio di 400 lavoratori dislocati nelle varie aziende, di cui 284 nei suoi due siti in Alta-Savoia, circa il 25% degli effettivi.  A Rumilly, dove insieme agli sci si fabbricano anche le ruote di bicicletta marca Mavic,  su 540 dipendenti ne saranno licenziati 250.

Verranno preservati i cosiddetti "reparti di creazione", quelli della ricerca “stratosferica” di cui si era dotata l’azienda,  ma saranno trasferiti alla sede Salomon di Metz-Tessy, alla periferia di Annecy, mentre l'attività di produzione delle ruote sarà localizzata in un secondo sito che non è stato ancora scelto, ma dovrebbe essere sempre in zona.  Dal 2005, è la terza volta che Salomon riduce il suo organico. Circa 750 i  posti che saranno tagliati complessivamente in quattro anni. "Senza contare gli interinali" che hanno lavorato temporaneamente a Rumilly nel 2007 e sarebbero da 70 a 80. 

Amer  Sports giustifica questo nuovo piano di economie con il forte calo delle vendite di materiali di sport invernali:  il 30% nel 2007, secondo le stime comunicate dal gruppo. "Un cataclisma in quanto il mercato era già in saturazione a seguito di una  "capacità superiore al bisogno strutturale". La spiegazione? Oggi  sono sempre più coloro che noleggiano  le loro attrezzature al posto di acquistarle, o sposta i loro acquisti al momento dei saldi. In seguito a questo "ridimensionamento duraturo del mercato", il gruppo riorganizza le sue industrie in Europa. D’ora in poi gli sci Salomon e Atomic saranno fabbricati in Austria  (un solo reparto produttivo per i due marchi diversi) e in Bulgaria. La produzione degli attacchi sarà razionalizzata e concentrata in due stabilimenti,  e così pure quella delle scarpe. 

Secondo quanto affermato da delegati sindacali, per i lavoratori  è stata una vera e propria mazzata, non solo e non tanto per i licenziamenti in vista. Si sentono toccati anche nella dignità.  "Di piano in piano ci prendono in giro da quattro anni. La ristrutturazione dell'impresa equivale ad un "saccheggio. I settori i più toccati sono quelli dove le competenze erano elevatissime" le risposte che ricorrono con maggior frequenza.  

Ma c’è di più. Il sindaco i Rumilly, André Feppon, si dice "letteralmente nauseato poiché  i dirigenti di Amers Sport l’hanno tenuto all’oscuro per tutti questi  mesi. I lavoratori e gli amministratori pubblici sono stati presi per  stupidi dopo che  la  municipalità aveva ceduto gratuitamente a Salomon 15 ettari di terreno. Le finanze del Comune saranno anch’esse penalizzate dalla chiusura della fabbrica: da Salomon proviene circa il 12% della tassa professionale”. 

Fondata  nel 1947 ad Annecy dalla famiglia Salomon, l'industria era stato acquistata nel 1997 da Adidas, e ceduta otto anni dopo ad Amer Sports. Fin dall’inizio il gruppo finlandese aveva indicato che contava di economizzare fino a 40 milioni di euro all’anno fino alla fine del  2008, con l’obiettivo di ottenere un margine operativo di almeno il 10%. A conclusione di questa operazione, Amer Sports intende portare la sua quota del mercato mondiale nelle attrezzature degli sport invernali dal 30% al 40%. Il maggior polo del mondo, in pratica, sulla pelle dei lavoratori.

Con circa 6500 dipendenti alla fine 2006, nel 2007 si è registrato un calo del 27% del fatturato rispetto a 2006, quando c’era stato un aumento  di 1,79 miliardi di euro. Il titolo ha perso il 16,86% giovedì alla Borsa di Helsinki. 

Mal comune mezzo gaudio si potrebbe dire per lenire l’amarezza. Ma può essere così o ci sarà  una via d’uscita?

Giorgio Brusadelli
www.fondoitalia.it

 

 




Da staff, Mercoledì, 16 Gennaio 2008 17:20, Commenti(0)
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