FIS MARATHON CUP A MARCO CATTANEO E CRISTINA PALUSELLI
La Birkebeiner Rennet, vinta da Anders Aukland su Tynell, non ha apportato modifiche alla classifica consolidata dalle sette prove precedenti. Epopea della Nazionale Lunghe distanze: solamente azzurri su entrambi i podi. Un successo di squadra che si ripete da 5 anni e che conferma, con la bravura dell'allenatore Marco Selle, organizzazione e capacità di adattamento degli atleti
E’ finita in gloria, come previsto e come doveva essere non soltanto per punteggi acquisiti nelle 8 prove, ma perché era scontato fin dall’inizio che la Nazionale Lunghe Distanze vincesse anche quest’anno la Fis Marathon Cup, con la classifica finale che parla da sola. Che è la seguente:
Maschile: 1) Marco Cattaneo, Italia, 416 punti 2) Pierluigi Costantin, Italia, 325 3) Roberto De Zolt, Italia, 309 4) Tullio Grandelis, Italia, 296 5) Jörgen Aukland, Norvegia, 285 6) Silvio Fauner, Italia, 240 7) Daniel Tynell, Svezia, 196 8) Stanislav Rezac, Rep. Ceca, 185 9) Raul Olle, Estonia, 170 10) Jerry Ahrlin, Svezia, 150 13) Biagio Di Santo, Italia, 100
Quattro azzurri nei primi 4 posti, e tutte e tre le donne sul podio, dunque (nella foto, da sinistra, Costantin, Cattaneo e De Zolt). Il che, sotto un certo aspetto, farebbe pensare che non esista concorrenza, che il circuito delle granfondo sia un giochino inventato appositamente per la nostra squadra, la sola che possa puntarvi con un massiccio investimento di atleti, di tecnici, di soldi, mentre tutte le altre nazioni vanno allo sbaraglio. Come tanti cani sciolti. Non è affatto così. Il successo di squadra, che si ripete con una regolarità tanto monotona da suscitare effettivamente questo sospetto e qualche riserva, è semplicemente legato alla bravura degli atleti che, con spirito di saacrificio, sanno adeguarsi ad ogni situazione, e alla capacità di arrangiarsi da parte del loro tecnico. Caratteristica tipicamente italiana che, almeno nello sport, non porta a risultati se non va di pari passo con programmazione e organizzazione. Non è solo questione di disponibilità finanziaria o di materiale umano. Fosse per questo, l’Inter non avrebbe rivali.
In questo caso, invece, ci troviamo di fronte, da 5 anni a questa parte, all’espressione di una supremazia assoluta, che travalica il valore dei singoli, pur bravissimi, ottenuta per lo più con un investimento minimo. Una specie di elemosina se valutato nell’ambito di cui dispone la Fisi. Messa in soldoni, 30 mila euro, poco più di tre volte il costo del costo del sovrappeso dei materiali che la nazionale maggiore ha pagato per i materiali che ha portato in Canada in occasione della trasferta di Coppa del Mondo a Vernon e Canmore. Con questi 30 mila euro la Nazionale Lunghe distanze ha effettuato le 8 gare della Fis Marathon Cup, una delle quali in Canada per la Birkebeiner, ha partecipato alla Vasaloppet inserendo per la prima volta un nome italiano, quello di Cristina Paluselli, nell’albo d’oro della mitica gara svedese, ha effettuato un paio di raduni sul ghiacciaio. Come questo sia stato possibile lo possono spiegare i protagonisti dell’impresa e il loro allenatore Marco Selle. Il quale, affiancato unicamente da tre tecnici e prendendo dai gruppi sportivi militari elementi non giudicati all’altezza delle squadre nazionali A e A2, da ormai 5 anni li porta a trionfare nel circuito delle grandi maratone internazionali che, per gli appassionati, costituisce un barometro del fondo più probante che non la Coppa del Mondo o la Coppa Europa.
Marco Selle (nella foto) è riuscito là dove hanno fallito i tecnici dei paesi scandinavi: riciclare nelle granfondo internazionali elementi che, per anzianità o per effettiva disparità di valori, non erano più ritenuti in grado di tenersi al livello di Coppa del Mondo o Coppa Europa. E lo ha fatto talmente bene che alcuni di loro si sono guadagnati la selezione per le Olimpiadi.
E non è che gli stranieri abbiano lesinato sforzi ed investimenti per mettere insieme squadre competitive: basta vedere gli elementi schierati dalla Norvegia. Hanno però mancato il loro obiettivo per il semplice fatto che al valore e alla maggior quotazione dei singoli avversari gli azzurri hanno contrapposto la forza e il gioco di squadra. E, quel che conta, di una squadra formata da elementi provenienti da gruppi sportivi militari differenti, potenzialmente concorrenziali, che quando è stato necessario hanno saputo fondersi in un blocco unico per portare al traguardo finale uno di loro, accantonando momentaneamente rivalità e ambizioni personali.
Un monopolio che si rinnova di anno in anno, che si è cercato di combattere esercitando pressioni all'interno della Fis quando si è trattato di concordare i calendari. Si è ricorsi al trucco di alterare il “fifty fifty” originale, e cioè il pareggio fra il numero di gare a tecnica libera con quelle a tecnica classica, diminuendo le prime nelle quali i nostri atleti si esprimono meglio ed aumentando le seconde che esaltano invece i nordici e qualche specialista puro della spinta di braccia. Come il ceco Stanislav Rezac che, stranamente, ha dominato quando correva tutto solo, privo di mezzi, girando da una parte all’altra con una macchinetta scassata, ma ha fallito invece quest’anno malgrado uno sponsor tecnico gli abbia messo a disposizione uno staff personale, un mezzo di trasporto confortevole e ogni aiuto tecnico possibile.
Di volta in volta ha prevalso il nostro gioco di squadra che ha raggiunto il massimo livello due anni fa quando si è trattato di aiutare Gianantonio Zanetel a vincere la sua seconda Fis Marathon Cup nella prova conclusiva, la Birkebeiner Rennet, a Lillehammer. Una gara che si corre a tecnica classica e vede regolarmente al via i migliori atleti norvegesi. In quell’occasione, ben supportato dai compagni, Zanetel ci aggiunse del suo battendo in volata Hjelmneset, Svartedal, Hallingstad, Torseth, Jevne, Skorstad, Ronning. Tutta gente che viene schierata abitualmente in Coppa del Mondo, Mondiali e Olimpiadi.
Quest’anno il gioco di squadra non è stato necessario. Già prima di prendere il via si sapeva che il podio era questione unicamente italiana: era in ballo fra Cattaneo, Costantin e De Zolt. Con il primo pressoché irraggiungibile a causa dei punti già in carniere dopo che è riuscito a salire tre volte sul podio vincendo due gare (in Cechia e in America) e piazzandosi secondo all’Engadina due settimane fa, oltre ad altri piazzamenti; si trattava semplicemente di vedere in che ordine vi sarebbero saliti gli altri due. I nordici hanno fatto la corsa, i nostri hanno giostrato di rimessa. Si è imposto Anders Aukland, staccando sul rettilineo finale Daniel Tynell, lo svedese vincitore della Vasaloppet, mentre più staccati lo seguivano l’estone raul Olle, lo svedese Jerry Ahrlin e il fratello minore Jorgen, vincitore dell’ultima Marcialonga. Costantin è arrivato decimo, Cattaneo dodicesimo e la classifica finale è stata sua.
Con lui ha trionfato anche Cristina Paluselli che si era già assicurata la classifica finale davanti ad Anna Santer e Lara Peyrot, e dopo la Vasa si è tolta lo sfizio di salire nuovamente sul podio. Terzo gradino, stavolta, poiché Hilde Pedersen era obiettivamente irraggiungibile e anche Annmari Viljanmaa fuori della sua portata. Al quarto posto si è piazzata Lara Peyrot e al sesto Anna Santer. Per Cristina è la seconda Fis Marathon Cup, ottenuta a conclusione di una stagione resa ancor più esaltante dalla partecipazione alla 10 km TC delle Olimpiadi. Aveva attaccato gli sci al chiodo già l’anno scorso, ci ha ripensato e non è escluso che la si ritrovi in pista nella prossima stagione. Dopo tanti anni nella nazionale maggiore, qui ha trovato modo di continuare a faticare ma divertendosi. Che è un po’ il legame che unisce tutto questo gruppo di granfondisti e il loro allenatore Marco Selle che si divide fra le Fiamme Oro e questa nazionale. Un tecnico capace, carismatico: gran motivatore, meriterebbe una collocazione migliore nell’organico della nazionale, ma evidentemente non ha i santi giusti in paradiso.