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FILOSOFIA DI VITA E DI SPORT PER IL FONDO GIOVANILE

De Coubertin più di un secolo fa  rifondò i Giochi Olimpici all'insegna del motto  "l'importante non è vincere ma partecipare". Massima valida tuttora seppur troppo spesso travisata,  che Roberto Campaci prospetta sotto nuova veste ai genitori

Una campagna di sensibilizzazione avviata con informazioni trasmesse agli allenatori dei Comitati e sviluppata attraverso volantini  diffusi nelle ultime gare

 L’importante non è vincere ma partecipare. Per chi fa agonismo può sembrare un controsenso, ma fu questa la massima alla quale, più di un secolo fa, il barone Pierre De Coubertin (nella foto), pedagogo e storico francese, si ispirò per fondare le Olimpiadi moderne ricalcando  lo spirito, che a suo dire, aveva contraddistinto i “Giochi Olimpici” dell’antica Grecia. E ci riuscì presentando il suo progetto nel giugno 1894 in un congresso alla Sorbona di Parigi dove lanciò il Comitato Olimpico Internazionale (CIO) del quale divenne segretario generale.  Un piano concretizzato neppure due anni dopo con la prima Olimpiade moderna  che ebbe luogo nel 1996, naturalmente in Grecia, ad Atene. Fu un successo, che convinse de Coubertin ad assumere in prima persona la guida del CIO, succedendo al greco Demetrius Vikelas che era stato nominato primo presidente del CIO.  

Meno di 300 i concorrenti della prima edizione, alla quale ne seguirono due, a Parigi e St. Louis nell’ambito delle rispettive fiere internazionali che in gran parte distolsero l’attenzione dai Giochi che, dal, 1906 in poi, divennero comunque il maggior evento sportivo mondiale che però finì per travisare lo spirito originario che de Coubertin aveva mutuato da Thomas Arnold, rettore del collegio inglese di Rugby nella prima metà del 1800.. Da costui era infatti derivato un concetto divenuto fondamentale nella pedagogia anglosassone, e cioè che lo sport potesse fungere da elemento di educazione, suscettibile di preparare adeguatamente, fin dalla scuola, alle future lotte della vita. L’importante, insomma, non è conquistare qualcosa ma aver combattuto bene. Non tanto battere gli avversari, quanto se stessi, per migliorarsi. Adesso si guarda solo a vincere, e magari stabilire i record, senza sottilizzare sui mezzi ai quali ci si affida per migliorarsi, del tutto estranei alla preparazione e anche pericolosi per l'organismo. Vedi doping.

 Un principio, quello della pedagogia anglosassone, che dovrebbe guidare l’approccio dei giovani allo sport, perché oltre che scuola di vita sia anche divertimento, ed essere trasmesso dai loro allenatori e accettato dai genitori che, purtroppo, sono l’elemento più fragile e spesso deleterio di questa catena per certe intromissioni, anche a livello di allenamento, che ben poco hanno a che vedere con la crescita sportiva dei figli. I papà in particolare, che molto spesso vedono nei figli la possibilità di realizzare obiettivi che essi non sono stati in grado di raggiungere. Pretendono il risultato fin da subito, impedendo o condizionandone lo sviluppo naturale. Con il rischio, ovviamente, di bruciarli prematuramente o di avviarli ad una crisi di rigetto.

Una situazione che Roberto Campaci (in una foto da atleta nel 1988), responsabile del settore giovanile del fondo, sta cercando di affrontare responsabilizzando i genitori. Ha cominciato a farlo con un volantino che è stato distribuito in molte gare, fra cui l’ultimo campionato italiano ragazzi e allievi svolto a Padola e al Trofeo Topolino in più di un migliaio di copie , nel quale riporta informazioni passate ai responsabili dei Comitati regionali perché ne facciano partecipi gli sci club, in modo che la “base” possa adeguatamente esserne informata. Questo il testo del volantino indirizzato ai genitori dagli stessi giovani atleti:

 Cari genitori, mi sento veramente fortunato nel poter fare lo sci di fondo. Questo sport è veramente bello in quanto mi permette di stare a contatto con la natura, con gli amici e, anche se faticoso, mi fa star bene.

La vostra presenza è per me sempre molto importante, in quanto mi fa sentire amato. La gara è un mistero e questo mi suscita delle grandi emozioni. Credo che lo sport sia fatto di vittorie e di sconfitte. Queste sono entrambe delle esperienze molto forti e spero che voi parteciperete con me a queste sensazioni e mi aiuterete a controllarle.

Farò di tutto per vincere, ma per me la gara è principalmente un gioco e il mio obiettivo sarà solo quello di misurarmi con le mie capacità e, se così sarà, avrò vinto.

 Quando faccio le gare mi fa piacere che voi mi “facciate il tifo”, sappiate che io mi impegnerò sempre al massimo e anche se non raggiungerò quello che voi vi aspettate da me, spero che voi apprezziate i miei sforzi. I vostri suggerimenti sono sempre utili, ma per le cose tecniche ho un allenatore molto competente. Lui è la mia guida nello sport e sono sicuro che farà di tutto per farmi diventare un bravo sciatore di fondo.

Voglio diventare molto coraggioso nello sci e anche nella vita, ma capisco che è difficile e che ciò richiede un sacco di tempo. Anche su questo ho bisogno del vostro aiuto. Non confrontate il mio coraggio e le mie abilità con quelle degli altri. Il mio desiderio è quello di misurarmi ogni giorno solo con i miei miglioramenti.

Le cose che posso fare io vorrei farle da solo. Credo che questo mi aiuti a diventa grande. Se farò degli errori valutiamoli assieme, così avrò l’occasione per migliorarmi.

Forse un giorno diventerò un grande campione, ma ciò che soprattutto spero è di potermi divertire continuando a fare sport ed in particolare sci di fondo.

Parole che non hanno bisogno di ulteriori commenti. Costituiscono quella filosofia di vita che, senza sentirsi sminuiti, dovrebbe essere proiettata anche verso l’agonismo. Principi sui quali il responsabile del settore giovanile ha fondato da sempre la sua attività. Prima da atleta, poi da tecnico. Con Carlo Petrini, nell’ambito della Direzione agonistica è responsabile del settore juniores in maniera specifica, oltre che del fondo giovanile in generale. E quale sia la mentalità con cui ha affrontato questa problematica lo ha spiegato l’amico Delfino Sartori nella bella intervista che gli ha fatto tempo addietro e che ha pubblicato sul suo sito, www.montagnaedintorni.it e  che riportiamo

 Roberto Campaci. Classe 1963, nato ad Asiago e residente a Bellamonte, è vice brigadiere della Finanza, nella quale è entrato nel 1983 proveniente dall'U.S. Asiago. E' stato un buon atleta, non un campione. Terzo nella classifica finale di una Coppa Italia, un paio di volte nei 10 agli assoluti, vincitore nel 1987 con la squadra della Finanza (Barco, Venturini e Taufer) delle 24 h di Pinzolo. Nel 1990 è diventato il tecnico delle Fiamme Gialle. Nel 1992 è stato nominato responsabile della squadra nazionale B, che annoverava allora Di Centa, Maj, Zorzi, ma ha poi rinunciato all'incarico rientrando al gruppo Sportivo di Predazzo. Con il nuovo direttore agonistico Albarello è tornato con la squadra, con l'entusiasmo che lo ha sempre caratterizzato.

Campaci è consapevole di disporre di un buon gruppo, sul quale contare sul futuro. Lo conferma in questa intervista.

”La linea è la stessa dei mie processori,  che ha già dato ottimi risultati sino ad oggi e che va quindi seguita con qualche eventuale caratterizzazione personale. Ed è una linea di formazione fisica, psicologica e professionale, che del resto seguo da anni con le Fiamme Gialle e con ottimi risultati”.

Cosa intendi innanzitutto come formazione?

”Quello che si evince dal termine stesso, e cioè aiutare a crescere questi ragazzi anche come uomini oltre che come atleti, crearne del professionisti in grado di percepire e decifrare le proprie sensazioni nel fare attività allenante. E' importante che riescano a capirlo, poiché questo serve per poterci lavorare sopra”.

Qual è il tuo atteggiamento nei loro confronti? Da amico o del sottufficiale con un subordinato?

”Cerco di mantenere un ottimo rapporto di dialogo, ma con i ruoli sempre ben distinti. Io sono il tecnico, loro gli atleti che, nel loro stesso interesse, devono fare quello che io ritengo opportuno si faccia”.

Come giudichi il gruppo che ti è stato affidato?

”Ci sono potenziali campioni, che potranno esprimersi se capiranno che i risultati si ottengono solo con il lavoro e con la giusta mentalità. Fare l'atleta ad alto livello è sicuramente duro, ma è il loro lavoro,  quello che hanno scelto di fare. Devono rendersi conto di essere dei privilegiati, che fanno una cosa che gli piace, mentre i coetanei vanno a bottega, in fabbrica o in ufficio, impegnandosi in attività magari meglio retribuite ma sicuramente non altrettanto gratificanti. Del resto gli atleti non devono stare troppo bene, poiché l'eccesso di benessere porta allo scadimento delle prestazioni. Non si riesce a soffrire come si dovrebbe, e il fondo è sicuramente uno sport in cui la capacità di sofferenza è alla base del risultato”.

Giorgio Brusadelli
www.fondoitalia.it




Da staff, Martedě, 20 Febbraio 2007 08:17, Commenti(0)
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